“Santa” Svizzera

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La Santa, la Società Maggiore, o anche Picciotteria. La `Ndrangheta ha molte facce e tutte portano in Calabria. Ma le doti crescono, e come piante carnivore si infilano nel mercato sano, e quello elvetico è uno di quelli privilegiati. “In Svizzera – ha detto recentemente in un convegno il procuratore capo del Ministero pubblico della Confederazione Michael Lauber – non c’è infiltrazione sistematica, ma solo casi singoli”. Dal 2010 ad oggi, secondo i dati che abbiamo raccolto in oltre 3 anni di monitoraggio sul fenomeno, sono almeno 25 le inchieste sulla mafia che hanno in qualche modo toccato le Alpi, una cinquantina le persone coinvolte a vario titolo. Da quando ne abbiamo scritto su questo blog circa un anno fa i casi emersi non hanno fatto che crescere.

Le banane dei narcos portano a Bellinzona
Quest’oggi i colleghi del Corriere del Ticino hanno pubblicato la notizia di S. Minotti su cui pende un mandato di cattura internazionale dallo scorso 24 gennaio. Il bellinzonese 63enne era il tramite tra le cosche e i narcos colombiani. Ma qualcosa è andato storto in quel giorno di settembre 2014 a Medellin, visto che è stato estromesso dalla trattative. La banda voleva importare in Italia nascoste in casse di banane 8 tonnellate di cocaina per un valore di oltre 1,7 miliardi di franchi. Come spiega il Vibonese “da semplice co-finanziatore della partita, si era elevato a mediatore tra “Beppe” Giuseppe Mercuri (la persona incaricata dal sodalizio italiano) e il cartello colombiano, scavalcandolo di fatto nella trattativa”. Ma Mercuri non ci sta e esautora Minotti, contrattando direttamente con l’organizzazione sudamericana per il tramite del narcos Karlsson Jaime, detto “El Coronel”. I piani però non vanno come pianificato. Un carico da 63 chilogrammi viene prima intercettato al porto di Livorno, e poi quello più ingente di 8mila chilogrammi fermato direttamente in Colombia. L’inchiesta si è nel frattempo allargata visto che il 16 febbraio il gip distrettuale di Catanzaro ha emesso nuovi provvedimenti cautelari a carico di 68 persone. Gli indagati risultano complessivamente 70. Ma questa è solo una delle operazioni contro le organizzazioni criminali italiane che hanno lambito il nostro paese.

Dal Pirellone si vede Carona
Recentemente si è perso nelle cronache il nome di Domenico Zambetti. L’ex assessore Pdl che ha fatto tremare il Pirellone nel novembre 2012 è stato condannato alla fine dell’anno scorso a Milano a 13 anni e 6 mesi per voto di scambio, concorso esterno in associazione mafiosa, e corruzione aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta. Il suo nome figurava nell’inchiesta Bluecall che in Svizzera ha portato all’arresto di due persone a Carona. C. A. Longo e la moglie. Con la sentenza si è attestato che non solo nei tradizionali feudi della criminalità organizzata al Sud esiste il voto di scambio ‘ndranghetista, ma anche nella Regione Lombardia dell’era Formigoni. Zambetti avrebbe scambiato 11.217 voti alle regionali 2010. Ma i legami in Svizzera si creano soprattutto con il riciclaggio. Come diceva il capo cosca Domenico Bellocco in una intercettazione: “Io i soldi mica li tengo a casa, io li riciclo, li reinvesto”. Infatti tra gli arrestati c’era il rampollo Umberto Bellocco. Ed è proprio lui che gestiva la scalata della grande azienda milanese di call center, la Blue Call appunto, grazie all’intermediario elvetico Longo, “il vero regista delle strategie della famiglia Bellocco”, si legge nell’Ordinanza di custodia cautelare. Nel processo di appello lo scorso febbraio al colletto bianco elvetico vennero inflitti 10 anni di carcere.

Dura lex, sed lex
Un’altra operazione passata in sordina è l’inchiesta Lex coordinata dalla Procura di Reggio Calabria scattata il 26 novembre scorso nelle provincie di Roma, Milano, Vibo Valentia, Pavia, Varese, Como, Monza-Brianza e Cagliari. 41 i provvedimenti di fermo per associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso.
Un duro colpo alla cosca Locale di Laureana di Borrello, formata dalle famiglie “Ferrentino-Chindamo” e “Lamari” con ramificazioni che portano nel Comasco e nel Varesotto e anche in Svizzera. Tra gli ordini di cattura figura infatti anche J. Signorello residente a Winterthur. “Un uomo organico alle cosche” secondo gli inquirenti il 29enne, “aveva il compito di dare immediata esecuzione agli ordini impartiti dal boss Ferrentino Marco e suo “consigliore” nelle operazioni di avvio di nuove attività imprenditoriali, oltre che referente della ‘ndrina in Svizzera. Inoltre – si legge nell’Ordinanza di Custodia Cautalare “è titolare del potere di mantenere rapporti e relazioni criminali con esponenti di altre articolazioni territoriali della ndrangheta, quali i Molè di Gioia Tauro, Bellocco e Pesce di Rosarno. Signorello è al momento latitante. Da noi contattato l’Ufficio federale di giustizia non ha rilasciato dichiarazioni e non conferma che un ordine di cattura è attivo sul nostro territorio.

Il denaro ha odore
È già stata completamente dimenticata l’operazione “Pecunia Olet” che ha coinvolto il Ticino. La Guardia di Finanza e la Polizia di Stato di Brescia hanno sequestrato, tra Italia e Svizzera, beni e liquidità per circa 10 milioni di euro ritenuti attività di riciclaggio. Il flusso di denaro secondo gli inquirenti è proveniente da reati tributari e fallimentari, poi trasferito dal gruppo criminale su conti correnti svizzeri tramite società off-shore. Un’inchiesta che era nata con l’operazione “Mercato libero” della Procura di Brescia. L’associazione per delinquere era già stata bloccata nel 2014: allora erano state arrestate nove persone alcune delle quali ritenute vicine a cosche della ‘ndrangheta calabrese in particolare quella dei “Facchineri” di Cittanova(RC) e quella dei “Feliciano” egemone ad Oppido Mamertina (RC). Ma le indagini sono poi proseguite ed è stata individuata la destinazione finale dei flussi finanziari. L’attività di riciclaggio era coordinata da una donna di origine bergamasca, I. Sirani, oggi residente in Svizzera. La donna è indagata con i genitori. L’imprenditrice, insieme ai propri familiari, secondo la magistratura italiana svuotava le società edili delle risorse finanziarie attraverso trasferimenti bancari dai conti italiani verso conti svizzeri, sanmarinesi e di Singapore. Questi conti erano intestati a società offshore gestite a loro volta da società fiduciarie svizzere.

Vallese: appalti e pasticcerie
Il Ticino è solo uno dei cantoni toccati dal fenomeno. Gli addentellati si fanno sentire anche alla pendici del Matterhorn. Il Vallese infatti è un altro territorio fertile per le organizzazioni criminali italiane. Lì la parola ‘Ndrangheta non esiste, e la mafia è un fenomeno cinematografico da gustarsi nelle serie di Netflix o su qualche DVD dei Sopranos. Ma nonostante il silenzio di media e autorità le cosche si sono installata già da tempo. A tessere i contorni delle infiltrazioni in salsa vallessane è una vasta inchiesta del sito romando Jet d’Acre. E il settore prediletto degli affari sono gli appalti pubblici: ad esempio nella costruzione del tunnel d’Eyholz, il risanamento della autostrada A9 e la costruzione di un ponte vicino a Niedergesteln. Ad aggiudicarsi i lavori assieme a una ditta di Thun, c’è un azienda di Visp fondata da un italiano di origine calabrese nel 1993, residente all’epoca nella provincia piemontese di Verbano-Cusio-Ossola. L’uomo avrebbe ancora a suo nome un’altra ditta sempre attiva in Vallese. I primi due cantieri non sono ancora stati terminati e hanno generato costi sensibilmente più elevati. Un’inchiesta del Controllo federale delle finanze è ancora in corso. Ma non finisce qui perché nel marzo scorso il manager viene arrestato e con lui sono stati fermati, e poi liberati, due funzionari della filiale vallesana dell’Ustra, l’Ufficio federale delle strade. Erano accusati di corruzione attiva e passiva in merito all’assegnazione di un appalto del valore di 35 milioni di franchi per la ristrutturazione delle galleria della “Casermetta” sulla strada del Sempione. Secondo il sito, nonostante a carico dell’ormai ex manager della ditta di Visp non è stata aperta alcuna procedura penale in Italia, il suo nome figura nell’ordinanza di arresto preventiva emessa dal Tribunale di Reggio Calabria nel 2009, nel quadro dell’Inchiesta “Nuovo Potere”, che porta anche in questo caso su dei clan attivi sulla Costa Jonica con ramificazioni in Piemonte e Svizzera. L’uomo secondo gli inquirenti avrebbe avuto legami “non solo occasionali” con membri dell’organizzazione. Gli affiliati secondo l’inchiesta avrebbero condotto un traffico di droga tra l’Italia e la Svizzera e in senso in verso un traffico di armi, chiamato in gergo “cioccolato”. L’imprenditore avrebbe all’attivo un’altra società di costruzioni notificata regolarmente sul registro di commercio.

Alla luce di questi fatti la presenza di persone legate alla mafia in Vallese non sembra nulla di nuovo. E anche a queste latitudini gli appalti fanno sempre più gola alle mafie. Ma recentemente – come avevamo parlato proprio qui – dal Cantone è stato estradato L. Caridi (che non ha nulla a che fare con i Nucera, padre e figlio già estradati l’estate 2016 in Italia). Lui era il reggente della Cosca Caridi-Borghetto-Zindato condannato per associazione mafiosa a 9 anni e 6 mesi nel dicembre 2014 (sentenza confermata in secondo grado pochi mesi fa) e poi latitante per oltre due anni in Svizzera. Qui lavorava tranquillamente in un bar-pasticceria con un regolare permesso B. Il 17 febbraio scorso il Tribunale Penale Federale di Bellinzona ha respinto il ricorso contro la decisione di estradizione dell’Ufficio federale di giustizia. L’avvocato dell’uomo ha già annunciato (come riportato in un nostro articolo de la Cité dello scorso dicembre) di voler ricorrere ulteriormente contro questo provvedimento al Tribunale federale. Ma se non ci saranno colpi di scena Caridi verrà estradato in Italia dove attende il terzo grado di giudizio.

Non più due, ma “Cosa unica”
La ‘Ndrangheta dicevamo ha mille facce, ma recentemente – hanno svelato alcune importanti inchieste – la si può chiamare Cosa Unita o Cosa Unica. Questa “associazione mantello delle cosche” per la verità è stata scoperta delle intuizioni del pm Vincenzo Macrì negli anni ’80 grazie all’inchiesta Olimpia che portò a centinaia di anni di reclusione e a 60 ergastoli. Purtroppo come egli stesso ha ammesso le piste investigative di quegli anni si fermarono e furono dimenticate nei cassetti delle procure. Sino a poco tempo fa però, e questo grazie al lavoro di procuratori del calibro di Federico Cafiero de Raho o Nicola Gratteri.
“In sostanza Cosa Nuova – spiega Macrì al Lamentino  – era una nuova struttura associativa, soprattutto proiettata all’esterno, con collegamenti sia con le altre mafie, soprattutto la siciliana, sia con altri poteri occulti associazioni iniziatiche, agganci politici o nei servizi segreti”. A far ritornare in voga il concetto di Cupola unita, una sorta di gota delle organizzazioni criminali italiane, sono state le recenti inchieste calabresi: Mammasantissima, Meta, Fata Morgana, ma anche le più famose operazioni del 2010 Crimine-Infinito. Si tratta di un potere occulto nato nel cono d’ombra e cresciuto fino a essere l’interlocutore delle potenze statali internazionali, oltre che potenza economica globale in sé. Un’oligarchia che si interfaccia direttamente con le altre organizzazioni internazionali russe, balcaniche e non da ultimo sudaAmericane, in primis i narcos colombiani.

Dall’Etna alle cassette di sicurezza elvetiche
A congiungere la Sicilia e la Svizzera ci pensa Giovanni Domenico Scimonelli, nato a Locarno, condannato il 17 luglio scorso a 17 anni di carcere. Lui era definito il “postino” locarnese del super latitante Matteo Messina Denaro, uno dei criminali più ricercati del Mondo. Scimonelli era solito viaggiare per affari fra Roma, Milano, Verona e Lugano. Nella sentenza di condanna si sostiene che il 48enne locarnese raccoglieva i pizzini degli altri uomini d’onore da recapitare al boss stragista, in fuga dal 1993, dal quale riceveva le risposte, per risolvere le questioni interne alle cosche e portare avanti gli affari. Con forzieri che ancora non sono stati violati, in quanto ben nascosti tra Svizzera, Liechtenstein e Belgio. “Sono in corso verifiche di natura finanziaria presso alcuni istituti di credito ticinesi” hanno fatto sapere le autorità giudiziarie italiane.
Potremmo continuare a lungo con le inchieste che toccano il nostro paese, parlando del pentito di ‘Ndrangheta Gennaro Pulice che avrebbe acquistato il permesso di residente in Ticino pagando un funzionario pubblico; oppure come anticipato da Tio.ch delle ramificazioni della Argo1 ditta di sicurezza nell’occhio del ciclone per l’arresto del titolare (per usura) e di un dipendente (presunto reclutatore dell’ISIS in Ticino) nel cui CdA figuravano due colletti bianchi non qualunque: l’uno citato nell’inchiesta Mammasantissma, l’altro coinvolto in Mani pulite e presunto anello di congiunzione con Cosa Nostra. Per ora noi ci limitiamo qui. Si tratta solo di aspettare qualche mese e aprire un nuovo capitolo. Sperando che quello che avete appena letto non sia già stato seppellito nei ricordi di questa pulita e “santa” Svizzera.

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