Il Van Gogh rubato

Le opere d’arte sono spesso associate a un bene di rifugio in questi periodi di crisi. Ma sono anche un business per le organizzazioni criminali. Dopo droga e armi è proprio questo uno dei settori più lucrosi. E la Svizzera con i più grandi Punti franchi al mondo, in cui sono stipate opere di valore inestimabile, che fa? Di pochi anni fa una grande inchiesta che dalla Calabria ha coinvolto anche la Confederazione.

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“La spiaggia di Scheveningen” – 1882

 

Era una giornata ventosa quando Vincent stava ammirando il mare a Scheveningen. Chissà quante volte il suo sguardo aveva incrociato, in quel periodo di permanenza, quelle tempeste di colori dove acqua e cielo si mischiano e diventano una cosa sola. Non aveva ancora 28 anni quando mise il suo cavalletto all’aria aperta e dipinse “Spiaggia di Scheveningen durante un temporale”, era il 1882. Non sapeva che dopo oltre 100 quel quadro fu rubato ad Amsterdam e poi ritrovato dopo 14 anni vicino a Castellammare di Stabia, con un altro Van Gogh. Erano nelle mani della Camorra. Valgono secondo gli esperti più di 100 milioni di dollari. Sono stati trovati in un casolare riconducibile al boss Raffale Imperiali, lui che si è fatto fortuna vendendo vino e acqua, attività che gli valse il soprannome di “Lellucc Ferrarelle” è uno dei camorristi più potenti al giorno d’oggi. Imperiali riesce a far girare milioni derivanti dal narcotraffico dal Sud America, alle Spagna e tutta Europa, ma alle spalle ha anche la forza militare capace di poter imporre una pax mafiosa. L’ultimo domicilio conosciuto è il lussuoso hotel di Dubai Burj Al Arab, dove una camera base costa 1500 euro a notte. Non si hanno più sue notizie dall’ottobre scorso, quando per la prima volta il suo nome è comparso all’interno di un’inchiesta legata al traffico di stupefacenti e si è dato latitante.

Questo – emerso il 30 settembre – è solo l’ultimo di molti casi in cui opere d’arte si mischiano con la criminalità organizzata. Come si legge nell’interessante articolo dell’inkiesta.it si tratta di un mercato che nel 2012 si è impennato del 39% rispetto al 2011. Dopo armi e droga il traffico illecito di opere d’arte è stimato come il terzo mercato criminale più lucroso, con profitti globali stimati intorno agli 8 miliardi di euro.  Dal 2009, sono molte le indagini in questo settore. Tra le altre – spiega sempre l’inkiesta – c’è quella della Direzione Investigativa Antimafia che ha sequestrato al boss italo-canadese Beniamino Zappia, in carcere dal 2007, oltre 345 dipinti di immenso valore, fra i quali tele di Guttuso, De Chirico, Dalì, Sironi, Morandi, Campigli, De Pisis, Boldini, Guidi, oltre a orologi antichi, pietre preziose, vasi, statue, bronzi e oggetti di antiquariato.  Nel 2010 invece al boss Gioacchino Campolo, il “Re dei videopoker” fu sequestrata dalla Guardia di Finanza una intera collezione di 102 dipinti: da Dalì a Guttuso arrivando De Chirico e Fontana, passando Sironi. Un settore dunque estremamente allettante, che produce facile guadagni, quello del mercato nero e del collezionismo dell’arte. Sono ben otto le organizzazioni criminali operanti nel settore (oltre alle 3 italiane anche mafia cinese e dei Paesi dell’est), a cui nel solo 2012 sono stati sequestrati poco più di 4mila falsi. Anche il presidente del senato Pietro Grasso, ex procuratore antimafia aveva sostenuto che «il traffico di opere d’arte è tra i principali guadagni delle mafie».

In questo contesto, la Svizzera è un centro nevralgico per le opere d’arte internazionali. La maggior parte sono stipate in punti franchi, esenti da dazi doganali e tasse varie, in banche o in casette di sicurezza disseminate per il Canton Ticino. La Confederazione è infatti da sempre un’attrice importante in questo settore, con oltre una dozzina di punti franchi. I più grandi si trovano a Chiasso, Zurigo, Basilea e Ginevra. In quest’ultimo – di oltre 150’000 metri quadrati di superficie, l’equivalente di 22 campi di calcio – si dice che sia concentrata la più grande quantità di opere d’arte al mondo. Molti pezzi sono di qualità museale e quindi di valore inestimabile. Quello di Chiasso esiste dal 1920, mentre nel 1961 è nato quello di Stabio. Quello di Ginevra è stato istituito addirittura nel 1888. Secondo la rivista specializzata Conaissances des Arts, nel 2013 qui giacevano 1,2 milioni di oggetti d’arte. Porta ogni anni tra i 10 e i 12 milioni di franchi nelle casse dello Stato. I punti franchi sono dei limbi fiscali, dove  generalmente è proposto l’affitto di magazzini di superfici variabili, locali blindati, cantine e addirittura garage, a tempo indeterminato. La zona come detto è libera da vincoli doganali. I dazi sono prelevati solo quando la merce raggiunge la sua destinazione finale. In altre parole, i punti franchi permettono di differire il pagamento delle tasse. C’è di tutto dai quadri alle bottiglie di vino. Ad esempio la struttura a La Praille di Gineva ospita la più grande cantina di vino del mondo. Circa tre milioni di bottiglie d’annata, soprattutto Bordeaux, conservate in casse di legno nei sotterranei dell’edificio. Nel 2010 la task force sul riciclaggio di denaro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), con sede a Parigi, ha pubblicato un rapporto in cui si denuncia il fatto che le zone extradoganali, che comprendono i porti franchi, «sono una minaccia in termini di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo», in parte a causa della sorveglianza inadeguata. In seguito a alcuni scandali, la Svizzera è intervenuta per aumentare i controlli e ha inasprito recentemente la legge sul riciclaggio e sul commercio dei beni culturali. I porti franchi sono stati sottoposti alla stessa regolamentazione a cui sottostanno tutte le importazioni, con l’obbligo di dichiarare la proprietà, l’origine il valore di tutti i beni importati. Dal 2009 è richiesto anche un inventario completo. Ma questo non ha evitato altri casi di abuso. Nel 2010 i funzionari doganali svizzeri hanno rinvenuto nel porto franco di Ginevra un sarcofago romano probabilmente saccheggiato in un sito archeologico della Turchia meridionale.

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Punto Franco di Chiasso

Oltre ai punti franchi anche nel nostro paese nel recente passato le mafie hanno fatto affari in questo settore. L’operazione dei carabinieri del Nucleo “Tutela del patrimonio culturale” di Cosenza e del Ros di Catanzaro denominata “Purgatorio 3”, è scattata il 20 luglio 2015 contro una presunta organizzazione criminale – con a capo il boss Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, deceduto nell’ottobre scorso – dedita per gli inquirenti al traffico illecito di reperti archeologici trafugati dalle più importanti aree archeologiche della Calabria. In particolare, l’operazione ha visto la città di Vibo Valentia al centro delle indagini con i reperti archeologici che negli anni sarebbero stati trafugati dall’antica Hipponion di epoca greca, con veri tunnel sotterranei, profondi anche 30 metri, scavati dai “tombaroli” nel cuore della città. I reperti archeologici trafugati sarebbero stati piazzati sul mercato illegale, specie estero. A finire nelle maglie della giustizia oltre all’archeologo calabrese Giuseppe Braghò e altre 4 persone, anche l’affarista di origine italiane ma nato a Berna, Luigi Fabiano. Con lui si sarebbero fatti affari fuori dall’Italia per piazzare le opere in giro per il mondo. L’archeologo Braghi è indicato come “anello di congiunzione per la vendita e l’esportazione dei reperti illecitamente trafugati. Secondo l’accusa avrebbe trafugato dall’antica stipe votiva di Scrimbia, nella parte alta di Vibo Valentia, statue e reperti fittili che avrebbero fruttato ingenti somme di denaro di cui avrebbe beneficiato anche il boss Mancuso. A causa di contrasti interni all’associazione, però, nei confronti di Braghò era stata ipotizzata, secondo gli investigatori, una grave ritorsione. Nel gennaio scorso gli indagati sono tornati liberi per cessazione di tutte le esigenze cautelari. L’inchiesta della Dda di Catanzaro è stata trasferita alla Procura ordinaria vibonese che dovrà fare chiarezza sulla vicenda. quello che comunque rimane certo, è che questo business è prezioso per la mafie, sopratutto per quanto riguarda il riciclaggio di denaro.Tenere un De Chirico da milioni in mano e portarlo in qualche banca o punto franco è molto più semplice che avere con sé borsone di soldi. Nemmeno i girasoli di Vincent van Gogh possono stare tranquilli.

 

 

 

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