“Si stanno comprando tutto”

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“Sono molto preoccupato per l’infiltrazione della criminalità organizzata in Ticino, sta erodendo letteralmente il tessuto economico. Se non facciamo qualcosa si compreranno tutto”. Sono parole forti, che lasciano di stucco, quelle del presidente delle Polizie comunali del Cantone, Dimitri Bossalini. Anche nella discreta e tranquilla Svizzera le organizzazioni mafiose italiane stanno diventando una problematica sempre più allarmante. A preoccupare è soprattutto la ‘ndrangheta. Bossalini è a capo della polizia nella regione del Vedeggio da circa due anni. Già da tempo alcuni esperti di sicurezza pensano che proprio in quella zona nel centro del Canton Ticino delle ‘ndrine si sarebbero radicate con una presenza fissa sul territorio. Ad essere sotto l’occhio dei riflettori vi è tra gli altri il comune di Lamone, un piccolo paese di soli 1’600 abitanti a circa 10 chilometri da Lugano, il centro finanziario del Cantone, il terzo per ordine di grandezza della Svizzera. “Che la ‘ndrangheta sia radicata in Ticino, è un’evidenza, è palese e lo dimostrano le inchieste”, ci spiega Bossalini. Come si evince nel rapporto della Polizia Federale del 2013 essa tocca soprattutto il settore immobiliare e quello della ristorazione. Ma non solo, anche il movimento terra e l’edilizia sono settori importanti per fare affari. “Hanno approfittato dei bassi tassi delle ipoteche per acquistare stabili con cui riciclare i loro profitti, in alcuni comuni è lampante”, spiega ancora Dimitri Bossalini, “e con queste persone ci stiamo abituando a convivere e a fare affari”. “Purtroppo – continua – in Svizzera per le indagini abbiamo spesso le mani legate: non abbiamo i mezzi che hanno gli inquirenti italiani ad esempio con le intercettazioni telefoniche e i pedinamenti, la legge è molto più restrittiva qui da noi”.

Pochi giorni fa proprio a Lugano, l’Osservatorio europeo di giornalismo dell’Università della Svizzera italiana e il gruppo di giornalisti d’inchiesta investigativ.ch hanno organizzato una conferenza sulla presenza della mafia in Svizzera. Un’occasione più unica che rara di vedere esperti e inquirenti rosso-crociati e italiani discutere assieme della tematica. “Non avete stragi o il vettore armato, non ci sono quasi mai regolamenti di conti, ma da voi la ‘ndrangheta si nasconde in una società ombra, e si annida nel sottobosco finanziario”, spiega il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Antonio de Bernardo, anch’egli presente all’incontro. “Dovete fare soprattutto attenzione agli appalti pubblici, questo settore sta in cima al programma di investimenti dell’organizzazione mafiosa, lì si possono fare guadagni enormi. Mettendo le mani sui soldi statali si possono controllare anche aziende e lavoro. Uno strumento di potere fondamentale”.

Il legame è subito fatto con il progetto Alptransit, la trasversale ferroviaria alpina con la galleria più lunga al mondo, ben 57 chilometri, che proprio a inizio giugno verrà inaugurata in Ticino. Alla cerimonia sarà presente anche il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. A breve 3 responsabili del progetto saranno chiamati a giudizio perché ritenuti colpevoli della morte di un operaio, un 54enne di origine calabrese, schiacciato da una roccia all’interno del cantiere nel 2010. Gli imputati sono accusati di omicidio colposo. John Noseda procuratore capo del Ministero pubblico ticinese, titolare dell’inchiesta, spiega che “quando gli inquirenti arrivarono in loco, il luogo dell’incidente era stato completamente stravolto, con l’aggiunta di misure di sicurezza in precedenza non presenti. Ma nessuno dei trenta operai – racconta ancora Noseda – ha voluto parlare, perché avevano paura per il loro lavoro e la loro famiglia. Questa è omertà riconducibile alla mafia. I lavoratori vengono portati qui, sfruttati e minacciati come nelle più classiche logiche di stampo mafioso”, conclude duramente.

Alla ditta Condotte-Cossi, che si era aggiudicata il lotto di una delle Galleria della trasversale – più precisamente quella del Ceneri – nel 2008 in piena gara di appalto le era stato ritirato per alcuni mesi il certificato antimafia in Italia. Poi riottenuto solo grazie a un ricorso. Cinque manager, responsabili della costruzione di un tunnel nella Salerno-Reggio Calabria, sono stati arrestati all’epoca per concorso esterno in associazione mafiosa. Li si parlò di un vero e proprio patto con la ‘ndrangheta. “La Svizzera deve tenere l’attenzione alta sulle infiltrazioni, in certi casi e a dipendenza del grado di infiltrazione negli appalti pubblici l’organizzazione criminale può avere un controllo su tutto quello che succede” –  tuona ancora Antonio de Bernardo – “decidere chi lavora e chi non può lavorare anch’esso è uno strumento di potere enorme, così si crea consenso tra la popolazione”.

“Mancano gli anticorpi nel nostro paese, non solo per le gare di appalto, ma in tutto il settore finanziario”, gli fa eco l’avvocato Paolo Bernasconi, il padre della legge anti-riciclaggio elvetica. Bernasconi spiega che “più c’è sottobosco finanziario, più c’è mafia”. In Ticino dove la finanza la fa da padrona non esiste una forma efficace di prevenzione. “Mancano le norme, ma sopratutto mancano i controlli se si pensa ad esempio che per oltre 1’200 fiduciarie c’è solo un ispettore di controllo. Va detto – conclude Bernasconi – che tuttavia il dipartimento cantonale delle istituzioni sta studiando delle misure per arginare le società bucalettere, che in Svizzera sono sempre più diffuse e dove i riciclatori hanno campo libero per nascondere i propri proventi”. Al vaglio del Governo federale rimane ancora l’inasprimento dell’articolo 260 ter che sancisce il reato di organizzazione criminale, l’equivalente del 416bis italiano, ma per il quale la pena massima è soltanto di 5 anni. Bernasconi incaricato dalla Confederazione ha effettuato una perizia con la quale propone una serie di provvedimenti per contrastare la criminalità economica organizzata. A breve dunque il Parlamento svizzero sarà chiamato a decidere.

(Articolo apparso sul FattoQuotidiano online)

 

 

 

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