Mafia Ticino 3.0

Retrospettiva di un anno di vicende mafiose del cantone. Dal “banchiere” della ‘ndrangheta di Vacallo, all’inchiesta Hydra, fino al caso del camorrista di Morbio Inferiore. 

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Si dice che dalla vetta del Monte Generoso, nei giorni di sole più limpidi, si possa vedere la madonnina del Duomo di Milano. Ma se si osserva meglio dalle nostre cime si può vedere anche il Sud Italia e le sue ramificazioni mafiose.
Nel tranquillo e ridente Ticino passa spesso nel silenzio e si fatica a ricordare la serie di arresti e inchieste legate al fenomeno nell’ultimo anno appena trascorso. Terra di banche e tranquillità. Ma anche di affari e finanza in tutta discrezione.
Un fenomeno non certo di oggi. A scuotere il cantone negli ultimi decenni non sono infatti solo i casi più noti. Come ad esempio quello di Gerardo Cuomo (proprio di questi giorni la prescrizione per il “re delle sigarette” che sconvolse la giustizia ticinese nei primi anni 2000) o l’altro caso tanto discusso di Michele Varano (di ottobre la decisione della sua espulsione dalla Svizzera). Ma le infiltrazioni sul nostro territorio trovano sempre terreno fertile e sembrano faticare a esaurirsi. Questi sono solo alcuni dei fatti del 2015.
Era la fine del 2014 quando a Vacallo venne arrestato Franco Longo, il cosiddetto “banchiere” della ‘ndrangheta. Il 4 dicembre scorso si è tenuto il processo che a sorpresa, e non senza stupore, si dovrà rifare. Secondo i giudici di Bellinzona il rito abbreviato con cui si è svolto il dibattimento non ha permesso di andare in profondità nell’inchiesta. Inoltre si attendeva il termine del filone giudiziario italiano con gli altri indagati coinvolti. Il 61enne molisano, residente in Svizzera da 2 anni con regolare permesso B, è accusato di organizzazione criminale e riciclaggio di denaro. Longo è sospettato di aver ricoperto un ruolo centrale all’interno di una cosca della ‘ndrangheta attiva in Lombardia. Nella vicina penisola son stati ben 40 gli arresti nell’operazione denominata “Rinnovamento”. Oltre al molisano, a finire in cella anche Vincenzo e Domenico Martino, i fratelli considerati i capi del clan di Reggio Calabria Libri-De Stefano-Tegano. Con loro Longo investì soldi “sporchi” comprando un palazzo a Chiasso, in via Motta a due passi dalla stazione delle FFS. Un’operazione da 3,3 milioni di franchi eseguita tramite un socio ticinese (ex municipale della cittadina di confine), lui però non indagato. In Ticino Longo potrebbe prendere dai 4 a i 5 anni, in Italia i fratelli Martino dovranno rimanere dietro le sbarre per 20 anni, rispettivamente 11 anni e 3 mesi. Così è stato deciso pochi giorni fa dal Tribunale di Milano nel processo di prima istanza. Per non parlare delle altre condanne più eclatanti. Quelle di Antonio Nesci e Raffaele Albanese, dell’operazione Helvetia che scoperchiò la cellula ‘ndranghetista di Frauenfeld. Nello scorso ottobre, al primo furono dati 14 anni di reclusione, al secondo 12 anni.
Se “Rinnovamento” ha sconvolto il Ticino e la ridente Vacallo, in ottobre anche l’inchiesta “Hydra” – più silente e meno seguita dai media – ha svelato un altro nervo scoperto: il fenomeno delle residenze e società fittizie. Ben tre quelle intestate a Renato Bevilacqua, figlio del più noto Ferruccio, boss di Vibo Valentia vicino al clan dei Mancuso di Limbaldi. Entrambi accusati a Roma di essere gli usurai dell’organizzazione. Anche qui gli arresti scattano in Italia (addirittura è stato arrestato l’ex capogruppo dell’Italia dei Valori della Regione Lazio Vincenzo Maruccio), ma la punta dell’iceberg è in Ticino. Con loro a finire in manette c’è Alfredo Bordogna, residente con Renato Bevilacqua a Chiasso in una appartamento usato come pied-à-terre. A loro due erano intestate le tre aziende chiassesi attive nel campo dell’edilizia e delle costruzioni. Di queste l’unica traccia che rimane sono delle bucalettere inutilizzate in Corso San Gottardo.
Il vettore finanziario passa certo dalla Svizzera, ma la presenza mafiosa è contraddistinta anche da relazioni radicate sul territorio. “Siamo anche sponsor di una società di bocce di Bellinzona” spiega Bordogna in un’intercettazione ripresa dal Corriere della Sera. Una frase che di primo acchito può sembrare semplice, ma in verità fa capire la portata delle interconnessioni mafiose in ogni ambito della società ticinese. Finanza e discrezione prima di tutto, ma anche integrazione e quotidianità contano. Sugli sviluppi dell’inchiesta da parte elvetica, la procura federale – da noi interpellata – si era trincerata dietro al più classico “no comment”.
Se ci spostiamo a pochi chilometri da Chiasso, per la precisione a Morbio inferiore, è lì che abitava Filippo Magnone. Nel comune di 4.500 abitanti alle pendici della Valle di Muggio, il 31enne milanese si prodigava per trovare prestanome col fine di investire i soldi della Camorra. Lui era il grimaldello per entrare nelle banche svizzere e anche estere, grazie al socio Giuseppe Arnhold attivo in Ungheria. Entrambi fermati nella vicina penisola assieme al 63enne Vincenzo Guida e al 54enne Alberto Fiorentino con l’accusa di esercizio abusivo del credito con aggravante del metodo mafioso. Una vera e proprio banca della Camorra nel cuore della Milano bene, con arterie che pulsano in Ticino. Nell’operazione sono stati sequestrati valori patrimoniali per 3 milioni di franchi e anche questa inchiesta prosegue nelle stanze dell’Antimafia milanese. A condurre le indagini, prudentemente eseguite anche con pedinamenti lunghi mesi, è la procuratrice capo Ilda Boccasini, che di processi in Italia ne ha fatti parecchi e molto importanti.
Questi casi sono solo alcuni esempi del fenomeno nel nostro cantone. Nel 2014 la Polizia federale nel suo rapporto annuale aveva lanciato l’allarme: “la criminalità organizzata italiana è una minaccia per la Svizzera”. A lambire il nostro cantone è anche l’inchiesta Insubria: che ha smantellato nel Comasco e nel Lecchese altre cosche calabresi. In tutto per i 35 imputati alla sbarra sono state inflitte condanne pari a 162 anni di carcere. In un altro caso, a novembre, la Procura di Torino aveva chiesto il rientro dalla Svizzera di quasi un milione di franchi depositati in conti correnti riconducibili a Giuseppe Nirta, esponente della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, condannato a sette anni e otto mesi per traffico di stupefacenti.
In totale, nel solo 2014 sono stati posti sotto sequestro in Svizzera 8 milioni di franchi, cifra confermata dal Ministero Pubblico della Confederazione nella conferenza stampa di presentazione della nuova procuratrice capo di Lugano, la ticinese Dounia Rezzonico. Nel complesso sono una cinquantina le procedure legate alla criminalità organizzata nel nostro paese. Molte dunque le inchieste aperte di cui sentiremo parlare nei prossimi anni.

E dopo tutti questi atti d’accusa e nomi mi balena in testa un film di Paolo Sorrentino intitolato “Le conseguenze dell’amore”. Nel film un magistrale Toni Servillo intrepreta Titta di Girolamo, finanziere che opera a Lugano per conto della Camorra. A un certo momento ha una brillante uscita: “Un famoso finanziere diceva che quando due persone conoscono un segreto, non è più un segreto”. E di segreti legati alla mafia, molto probabilmente, ne sentiremo ancora parlare anche alle nostre latitudini.

 

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