
Leo Caridi non è una criminale qualunque, ma un boss. Soprannominato “Lillo”, il 57enne, è esponente di vertice della omonima cosca mafiosa operante nei quartieri San Giorgio e Boschicello di Reggio Calabria. Oggi si è conclusa la sua latitanza svizzera con il termine delle procedure di estradizione. È stato consegnato alle autorità italiane questa mattina all’aeroporto di Roma-Fiumicino, proveniente da Ginevra.
Caridi la prima volta è stato arrestato nel dicembre 2011 e dopo tre anni di custodia cautelare nelle carceri italiane, una sentenza del Tribunale del Riesame ne aveva disposto la scarcerazione. Dopo poco però si era dato alla macchia. Formalmente era latitante dal 6 dicembre 2014, ovvero dal giorno in cui si era sottratto all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere quando il Tribunale di Reggio Calabria lo ha condanna a 9 anni e 6 mesi di reclusione per associazione mafiosa (sentenza poi confermata in secondo grado il 22 novembre scorso). Caridi si era rifugiato in Vallese, cantone dove risiedevano due altri esponenti delle cosche estradati l’anno passato. Padre e figlio Nucera.
Le indagini degli inquirenti italiani avevano consentito di individuarlo a Ried Brig dove la Polizia elvetica, lo scorso 3 agosto 2016, lo aveva arrestato. Dopo il classico iter burocratico è stato dunque consegnato alle autorità italiane. In Svizzera era a beneficio di un regolare permesso B. Lavorava secondo nostre informazioni in un bar/pasticceria dell’Alto Vallese. Un cantone questo sempre più soggetto alle infiltrazioni.
Le informazioni dell’intelligence italiana già da tempo hanno fatto emergere che tra le provincie di Verbano-Cusio-Ossola e il Vallese ci sono cellule di ‘ndrangheta ormai radicate dagli anni ’60 e che opererebbero per conto delle cosche madri. Proprio a Visp e Briga, appunto, erano stati rintracciati altri componenti del gruppo familiare dei Nucera ossatura centrale della struttura criminale condofurese. Antonio Nucera aveva aperto diversi rapporti bancari con istituti di credito elvetici, tracciati come sospetti dalle istituzioni antiriciclaggio della Confederazione.
Ma poi ci sono gli appalti. Le mani delle cosche sono arrivate sino ai cantieri stradali: ad esempio nella costruzione del tunnel d’Eyholz, il risanamento della autostrada A9 e la costruzione di un ponte vicino a Niedergesteln. Un’inchiesta aveva portato all’arresto di due funzionari dell’Ufficio federale delle strade e di un imprenditore calabrese. Erano accusati di corruzione attiva e passiva in merito all’assegnazione di un appalto del valore di 35 milioni di franchi per la ristrutturazione delle galleria della “Casermetta” sulla strada del Sempione. Stanno ancora attendendo un procedimento.
Il Vallese è teatro in queste settimane anche dello scandalo che ha coinvolto la procura di Aosta, il capo procuratore Longarini è stato arrestato il 31 gennaio con le accusa di induzione indebita e favoreggiamento. Avrebbe spifferato notizie secretate a un suo amico tale Gerardo C. Imprenditore attivo nel nord Italia e anche in Vallese. Lui sarebbe in buone relazioni con G. Nirta, condannato a 7 anni e 8 mesi per mafia e poi uscito dal carcere per una questione procedurale nel 2014. I due erano sotto stretta osservazione delle autorità italiane, ma quando sono stati informati dal capo procuratore la loro relazione si era interrotta. Nirta aveva nascosto nelle banche svizzere un milione di franchi, cifre provento dal traffico di cocaina dalla Colombia. Una bomba giuridica questa che è esplosa al di là della frontiera e la Svizzera rimane ancora silente. Attendendo che qualcuno se ne accorga.
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