Sempre più pressante la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia che da infiltrazione passa al radicamento. Intanto un bar nella Brianza diventa il simbolo del sostegno alle cosche. Un’inchiesta che tocca da vicino anche la Svizzera.
Seregno – Milano – Bar “Tripodi pane e caffè”
Quando ero più giovane mi capitava spesso di andare alla chiesetta di Obino. Da lì si vede tutto il Mendrisiotto, ogni singola strada, ogni lampione da Chiasso a Mendrisio è percettibile. A limitare la vista davanti allo sguardo è solo la collina di Pedrinate che delimita il confine tra Ticino e Lombardia. Ed è proprio al di là dell’orizzonte – per usare parole di leopardiana memoria – che c’è l’ “Infinito”. Ma non è una semplice metafora, questo infatti è il nome della maxi-operazione contro la ‘ndrangheta calabrese e le sue cosche milanesi, nata nel lontano 2003, ma i cui sviluppi sono ancora in corso e si sentono alle nostre latitudini. I rapporti investigativi parlano di 25 mila ore di registrazioni telefoniche e 20 mila ore di intercettazioni ambientali. Un’indagine che il 5 luglio 2010 portò all’arresto di 154 persone, con accuse che variano dall’associazione di stampo mafioso al traffico di armi, all’estorsione nonché intimidazione per l’aggiudicazione di appalti o preferenze elettorali.
Tra questi arresti figura anche Bruno Nesci capo della Locale di Singen, in Germania, sul lago di Costanza. Dagli atti di accusa che abbiamo potuto consultare si legge che Nesci era incaricato di tenere il coordinamento delle “locali” della Germania ed i contatti con gli esponenti di spicco della “Provincia” (Reggio Calabria). Lui operava a pochi passi da Turgovia, dove è stata sgominata la cosiddetta “società” di Frauenfeld. Tra le cosche non correva buon sangue. Solo con il summit del 2010 in un bar della zona il “Bocce club” si sotterrò l’ascia di guerra. A capo della cosca svizzera attiva da 40 anni vi era un altro Nesci, in questo caso Antonio alias “chiacchiarune” oppure “la montagna della Svizzera”. Nelle intercettazioni è anche denominato quel “cornuto della Svizzera”. Lui finì in manette nelle vicina penisola con il sodale Raffaele Albanese grazie all’inchiesta Helvetia scattata nell’agosto 2014. I due sono poi stati condannati dai giudici italiani a 14 anni e 12 anni di carcere. Entrambi i cittadini svizzeri di origine italiana sono riconosciuti colpevoli di associazione a delinquere di stampo mafioso. 16 in tutto gli altri esponenti della cosca finiti in manette . Un’inchiesta questa ben nota che ha sconvolto il paese tutto.
Ora però le ultime notizie che arrivano dalla vicina penisola ci fanno capire che l’allerta deve restare alta. E questo nonostante la percezione del fenomeno nel nostro territorio sia nulla. Fanno male le parole del Governo ticinese che due mesi fa ha risposto a un’interrogazione parlamentare spiegando che “la Mafia in Ticino non c’è”. I legami però col nostro territorio ci sono, eccome.
“In Lombardia si è da tempo superata la logica della infiltrazione, intesa come sporadico inserimento della ‘ndrangheta nell’economia legale e ad essa è subentrato il concetto di vero e proprio radicamento”. A dirlo è l’ultima relazione annuale della Direzione nazionale italiana antimafia (DNA) che prende in esame la diffusione delle organizzazioni mafiose in Lombardia dal primo luglio 2014 al 30 giugno 2015.
E proprio in questi giorni a Seregno – a 39 chilometri da Chiasso -la prefettura di Monza ha chiuso un bar-panificio per infiltrazioni mafiose. Luogo non qualunque, ma frequentato dalla politica locale. Come sottolinea nel suo ultimo articolo il giornalista dell’Espresso Giovanni Tizian, sotto scorta da anni. A stupire è il fatto che poco dopo sulle saracinesche del “Tripodi pane e caffè” è apparso uno striscione con scritto “Noi vi vogliamo bene”. Un manifesto d’amore con tanto di cuoricini apparso di notte e tolto solo la mattina dopo. Una scritta rosso sangue che fa tremare. Un esempio allarmante che come una cartina di tornasole ci dà la misura di quanto sia radicato il fenomeno nella società civile anche al nord. In questo caso uno dei soci, Antonino Tripodi, è stato coinvolto in alcune indagini dell’antimafia di Milano. Il titolare del bar è stato condannato anche per reati legati alle armi nell’ambito proprio del maxi processo “Infinito”. Politici e borghesia erano noti frequentatori di quel bar, tra cui anche l’ex sindaco, che proprio lì girò uno spot elettorale. Seregno con la sua politica comunale sono infiltrate. Molte le famiglie che esercitano il loro potere: i Tripodi, i Siragusa, i Cristello, i Pio ma anche i Pensabene.
Ed è proprio Giuseppe Pensabene, capo della locale di Desio che finì dietro le sbarre nel marzo 2014. Nell’hinterland milanese aveva organizzato una vera e propria banca illegale. Uno sportello autonomo, grazie a una rete di società di copertura e alla collusione di insospettabili, accumulava soldi provenienti dall’usura e dal riciclaggio, per portarli in Svizzera. Questi servivano anche per finanziare le famiglie degli arrestati nell’inchiesta “Infinito”. Suo uomo residente a Savosa era Emanuele Sangiovanni anch’egli finito dietro le sbarre nel 2014. È di alcune settimane fa una costola di quest’indagine che tocca da vicino ancora il Ticino. L’inchiesta si chiama “El Cartero“, quasi a evocare “Il postino di Neruda” romanzo di Antonio Skarmeta. Con “El Cartero” in gennaio, sono state emesse 15 ordinanze di custodia cautelare in carcere di cui una a carico di un banchiere ticinese nato a Lugano, residente a Chiasso per il quale la magistratura milanese a breve chiederà l’estradizione. A finire nel mirino della giustizia è anche Vincenzo Cotroneo. Arrestato per associazione a delinquere finalizzata nell’esercizio abusivo del credito con l’aggravante della trasnazionalità. Lui investiva i soldi della ‘ndrina di Desio, riciclandoli a Lugano. Con questi investimenti avrebbe finanziato la Lombard Merchand Bank, la Centrofinanziaria Spa e la Confidi Nord Ovest, società che avrebbero inquinato il mercato italiano con fideiussoni false per un miliardo di euro.
“La ‘ndrangheta è ancora fortissima. Il problema è che questa organizzazione come sua caratteristica principale ha il consenso di una gran parte, no ovviamente di tutta, della popolazione del territorio su cui insiste.” Queste le parole pronunciate pochi giorni ai microfoni di Radio 1 del sostituto procuratore della Divisione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Antonio De Bernardo da anni impegnato in delicate indagini riguardanti la zona ionica reggina, ma anche Paesi esteri come Svizzera, Canada, Germania, Olanda e Australia. “L’organizzazione – spiega De Bernanrdo – continua la sua attività nonostante la repressione che evidentemente non basta”. “Bisogna quindi – ha concluso il magistrato – fare avvertire alla popolazione che, nel momento in cui interviene lo Stato, le condizioni migliorano”.
I fatti di Seregno non possono dunque passare inosservati per chi vive a pochi chilometri. Scomodando “Don Raffé” del maestro Farbrizio De Andrè ci vien da dire: “A che bell’ò cafè pure in carcere ‘o sanno fa co’ à ricetta ch’à Ciccirinella compagno di cella ci ha dato mammà”. Un caffè amaro a due passi da casa.